El Faqru

René Guénon, Aperçus sur l'ésotérisme islamique et le Taoïsme, Ch. IV *

        Si può definire essere contingente quello che non ha in se stesso la propria ragione sufficiente; un simile essere, per conseguenza, non è niente, di per se stesso, e nulla di quel che è gli appartiene in proprio. È questo il caso dell'essere umano, considerato come individuo, così come di tutti gli esseri manifestati in uno stato qualsiasi, poiché, qualunque sia la differenza tra i gradi dell'esistenza universale, essa è sempre nulla nei confronti del Principio. Questi esseri, umani o no, sono dunque, per tutto ciò che sono, in totale dipendenza dal Principio, «al di fuori del quale nulla, assolutamente nulla, può esistere» 1 ; ed è proprio la coscienza di questa dipendenza che costituisce quel che numerose tradizioni chiamano "povertà spirituale". In pari tempo questa coscienza, per l'essere che vi sia pervenuto, ha per conseguenza il distacco da tutte le cose manifestate, in quanto un tale essere sa da quel momento che anche queste cose non sono niente e che la loro importanza è rigorosamente nulla nei confronti della Realtà assoluta. Nel caso dell'essere umano questo distacco comporta essenzialmente e anzitutto l'indifferenza verso i frutti dell'azione, come in particolare si insegna nella Bhagavad-Gîtâ, indifferenza mediante la quale l'essere sfugge all'indefinito concatenarsi delle conseguenze dell'azione: tale è «l'azione senza desiderio» (nishkâma Karma), mentre «l'azione con desiderio» (sakama Karma) è quella compiuta in vista dei suoi frutti. In tal modo dunque l'essere esce dalla molteplicità; sfugge, secondo le espressioni proprie della dottrina Taoista, alle vicissitudini della "corrente delle forme", all'alternanza degli stati di "vita" e di "morte", di "condensazione" e di "dissoluzione" 2 , passando dalla circonferenza della "ruota cosmica" al suo centro, che nella fattispecie è designato come «il vuoto (il non manifestato) che unisce i raggi e fa di essi una ruota» 3 . «Colui che è arrivato al massimo vuoto, dice pure Lao-Tse, quegli si sarà stabilito saldamente nel riposo... Ritornare alla propria radice (cioè al Principio, origine prima e fine ultimo di tutti gli esseri), è entrare nello stato di riposo» 4 . «La pace nel vuoto - dice Lao-Tse - è uno stato * Articolo pubblicato in Voile d'Isis, annata 1930, pag. 714. 1 Mohyiddîn ibn 'Arabî, Risâlatul-Ahadiyah. 2 Aristotele, in un senso simile, dice "generazione" e "corruzione". 3 Tao-te-King, XI. 4 Tao-te-King, XVI. indefinibile, non si prende né si dà: si arriva a stabilircisi» 5 . Questa "pace nel vuoto" è la "gran pace" (es-sakînah) dell'esoterismo musulmano 6 , che è nel medesimo tempo la "presenza divina" al centro dell'essere, implicita nell'unione col Principio, la quale non può effettivamente operarsi che in questo centro stesso. «A colui che risiede nel nonmanifestato, tutti gli esseri si manifestano... Unito al Principio, egli è in armonia, per mezzo suo, con tutti gli esseri. Unito al Principio, egli conosce tutto attraverso le ragioni generali superiori, e quindi non fa più uso dei suoi sensi, per conoscere minutamente ed in particolare. La vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile, indeterminabile. Solo lo spirito ritornato allo stato di semplicità perfetta può coglierla nella contemplazione profonda» 7 . La "semplicità", espressione dell'unificazione di tutte le energie dell'essere, caratterizza il ritorno allo "stato primordiale"; appare qui tutta la differenza che separa la conoscenza trascendente del saggio dal sapere ordinario e "profano". Questa "semplicità" è anche ciò che altrimenti si designa come lo stato di "infanzia" (in sanscrito, bâlya), inteso naturalmente in senso spirituale, e che, nella dottrina indù, è conoscenza per eccellenza. Ciò ricorda le parole analoghe che si ritrovano nel Vangelo: «Chiunque non riceverà il Regno di Dio come un fanciullo, non vi entrerà» 8 . «Mentre hai nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti, le hai rivelate ai semplici ed ai piccoli» 9 . "Semplicità" e "piccolezza" sono qui, in fondo, equivalenti di quella "povertà" di cui si parla così spesso nel Vangelo, e che in genere è così mal compresa: «Beati i poveri in spirito, perché ad essi appartiene il Regno dei Cieli» 10. Questa "povertà" (in arabo Elfaqru) conduce, secondo l'esoterismo musulmano, a El-fanâ, cioè all'estinzione dell'"io" (questa estinzione non è senza analogia, anche nel senso letterale del termine che la designa, col "Nirvâna" della dottrina indù); di là da El-fanâ vi è ancora Fanâ el-fanâi, l'"estinzione dell'estinzione" (che corrisponde così al Parinirvâna); per mezzo di questa "estinzione" si raggiunge la "stazione divina" (El-maqâmul-ilâhi), che è il punto centrale in cui tutte le distinzioni inerenti ai punti di vista esteriori sono superate, e tutte le opposizioni scompaiono e si risolvono in perfetto equilibrio. «Nello stato primordiale, queste opposizioni non esistevano. Tutte sono derivate dalla diversificazione degli esseri (inerente alla manifestazione, e come essa contingente), e dai loro contatti causati dalla "girazione" universale (dalla rotazione, cioè, della "ruota cosmica" attorno al suo asse). Esse cessano immediatamente di affliggere l'essere che ha ridotto il suo io distinto e il suo movimento particolare a quasi nulla» 11 . Questa riduzione dell'"io distinto", che sparisce infine riassorbendosi in un unico punto, è identica a El-fanâ e al "vuoto" di cui prima dicevamo; è d'altronde evidente, dal simbolismo della ruota, che il "movimento" di un essere è tanto più ridotto quanto più quest'essere è vicino al centro. «Questo essere non entra più in conflitto con chicchessia, perché è stabilito nell'infinito, cancellato 5 Lie-tse, cap. I. 6 Vedere il nostro articolo sulla "grande guerra santa" (Voile d'Isis, numero di maggio 1930). 7 Lie-tse, cap. IV. 8 San Luca, XVIII, 17. 9 San Matteo, XI, 25; San Luca, X, 21. 10 San Matteo, V, 2. 11 Choang-tse, cap. XIX. nell'indefinito 12. Esso è pervenuto e si è stabilito nel punto di partenza delle trasformazioni, punto neutro in cui non vi sono conflitti. Concentrando la sua natura, alimentando il suo spirito vitale, chiamando a raccolta tutte le sue potenze, esso si è unito al principio di tutte le genesi. Essendo intera la sua natura (totalizzata sinteticamente nell'unità principiale), il suo spirito vitale intatto, nessun essere può nuocergli» 13 . La "semplicità" di cui si trattava prima corrisponde all'unità "senza dimensioni" del punto primordiale, in cui termina il movimento di ritorno verso l'origine. «L'uomo assolutamente semplice piega con la sua semplicità tutti gli esseri,... benché nulla gli si opponga nelle sei regioni dello spazio, nulla gli sia ostile, né il fuoco né l'acqua lo feriscano» 14. Infatti egli si tiene nel centro, dal quale le sei direzioni sono uscite per irraggiamento e nel quale esse vengono, nel movimento di ritorno, a neutralizzarsi a due a due, sicché in quest'unico punto la loro triplice opposizione cessa completamente, e niente di ciò che ne risulta o vi si localizza può influire sull'essere che risiede nell'unità immutabile. Questi non opponendosi a nulla, nulla può opporglisi, essendo l'opposizione necessariamente una relazione reciproca, che esige la presenza di due punti ed è, per conseguenza, incompatibile con l'unità principiale; l'ostilità, che è una conseguenza o una manifestazione esteriore dell'opposizione, non può esistere nei confronti di un essere che è al di fuori e di là da ogni opposizione. Il fuoco e l'acqua, prototipo dei contrari nel "mondo elementare", non possono ferirlo, perché invero per lui non esistono più come contrari; equilibrandosi l'un l'altro per la riunione delle loro qualità apparentemente opposte, ma in realtà complementari, essi sono rientrati nella indifferenziazione dell'etere primordiale. Questo punto centrale, per mezzo del quale si stabilisce per l'essere umano la comunicazione con gli stati superiori o "celesti", è anche la "porta stretta" del simbolismo evangelico, e se ne può dedurre cosa siano i "ricchi" che non possono passare attraverso ad essa: sono gli esseri attaccati alla molteplicità, i quali di conseguenza sono incapaci di elevarsi dalla conoscenza distintiva alla conoscenza unificata. Questo attaccamento infatti, che è esattamente il contrario del distacco di cui si parlava prima, come la ricchezza è contraria alla povertà, incatena l'essere alla serie indefinita dei cicli di manifestazione 15 . L'attaccamento alla molteplicità è anche, in un certo senso, la "tentazione" biblica, che facendo gustare all'essere il frutto dell'"Albero della scienza del bene e del male", cioè la conoscenza duale e distinta delle cose contingenti, lo allontana dall'unità centrale originale e gli impedisce di raggiungere il frutto dell'"Albero della Vita"; proprio per questo l'essere soggiace all'alternanza delle mutazioni cicliche, cioè alla nascita ed alla morte. Il percorso indefinito della molteplicità è appunto raffigurato dalle spire del serpente che si arrotola attorno all'albero, immagine dell'"Asse del mondo": è il sentiero degli "sviati" (Ed-dâllîn), di coloro che sono nell'"errore" nel senso etimologico della parola, in opposizione al "sentiero diritto" (Eç-çirâtul-mustaqîm), ascendente secondo la verticale dello stesso asse, di 12 La prima di queste due espressioni si riferisce alla "personalità" e la seconda alla "individualità". 13 Choang-tse, cap. XIX. L'ultima frase si riferisce ancora alle condizioni dello "stato primordiale": è ciò che la tradizione giudeo-cristiana designa come l'immortalità dell'uomo prima della "caduta", immortalità riacquistata da colui che ritornato al "centro del mondo" si alimenta all'"Albero di Vita". 14 Lie-tse, cap. II. 15 È il samsâra del Buddismo, la rotazione indefinita della "ruota di vita" da cui l'essere deve liberarsi per raggiungere il Nirvâna. cui si parla nella prima sûrat del Qorân 16 . "Povertà", "semplicità", "infanzia" non sono che una sola ed unica cosa, e l'abbandono che tutte queste parole esprimono 17 culmina in una "estinzione" che è, in realtà, la pienezza dell'essere, così come il "non-agire" (wu-wei) è la pienezza dell'attività, poiché è da esso che sono derivate tutte le attività particolari. «II Principio è sempre non-agente, e tuttavia tutto è fatto da lui» 18. Così l'essere che è arrivato al punto centrale ha realizzato di conseguenza l'integralità dello stato umano: è l'"uomo vero" (Tchen-jen) del Taoismo, e quando, partendo da questo punto per elevarsi agli stati superiori, avrà compiuto la totalizzazione perfetta delle sue possibilità, sarà diventato l'"uomo divino" (Sheng-jen), che è l'"Uomo Universale" (El-Insânul-Kâmil) dell'esoterismo musulmano. Così, si può dire che sono i "ricchi" dal punto di vista della manifestazione ad essere veramente i "poveri" nei confronti del Principio, e inversamente; è quel che esprime in modo ancor più netto questa frase del Vangelo: «Gli ultimi saranno i primi, ed i primi saranno gli ultimi» 19. E a questo proposito dobbiamo constatare una volta di più il perfetto accordo di tutte le dottrine tradizionali, le quali non sono che espressioni diverse della Verità una. René Guénon Mesr, 11-12 rabî awwal 1349 H. (Mûlid En-Nabi) (Traduzione di Carlo Lesagna)